La storia di Forio racchiusa in un vicolo stretto che porta al mare. È "Scarium", la visita teatralizzata di via Torrione realizzata dalla compagnia "Uomini di Mondo" in collaborazione con le associazioni "Actus Tragicus", "Radici" e la Banda Musicale CIttà di Forio.
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Cinque monologhi, egregiamente introdotti dal giovane storico dell’arte Pierpaolo Mandl che spiegano bene, come c’è scritto nel comunicato di presentazione dell’evento, "l’humus e il retroterra che modellano l’indole foriana". Un misto di "sacralità, genio artistico e difesa del territorio" che passa per i racconti di Giovanni Maltese, Caterina D’Ambra, la popolana Tolla, Rachele Guidi Mussolini e il prete Don Pietro Regine.
Partiamo dal primo, Giovanni Maltese, l’artista ribelle di Forio che per anni abitò in enfiteusi i locali del Torrione, la più importante delle torri saracene disseminate per il paese. Interpretato da Valerio Buono, che ha curato anche la regia dello spettacolo, di Maltese non viene taciuta la verve polemica, la sua tenace opposizione alla classe dirigente locale di fine '800. Una dimensione politica che però non esaurisce la complessità di un personaggio che fu contemporaneamente poeta, scultore e ritrattista. Subito dopo il monologo, infatti, la visita guidata fa tappa al secondo piano del Torrione dove sono collocate le numerose opere di quest’artista foriano di grande ingegno.
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Dopo Maltese, tocca a Caterina D’Ambra (interpretata da Valentina Lucilla Di Genio). La storia di questa donna è uno degli aneddoti più interessanti della monografia sull’isola d’Ischia curata da Giuseppe D’Ascia. Si tratta di una storia di vendetta, dacchè la giovane, con l’avvallo della famiglia, compie una strage contro la gendarmeria spagnola colpevole di averle ammazzato un fratello sordomuto. Un tipico caso d’onore, comune a tanta parte del Meridione, così raccontato dallo storico locale:
"Un giorno gli armigeri perlustrando per le campagne di Monterone, anche in Forio, infeste da malviventi, videro in un vicoletto detto del Carrubio che un uomo nello scovrirli si pose a fuggire; uno di essi fu lesto a sparargli appresso, lo colpì, e cadde - Era un sordo-muto!.......detto il muto di casa d’Ambra, perché sciocco, non perché reo, al vedere gli armati soldati, che dal volgo chiamansi gli sbirri, avea preso la fuga. Questo sordo-muto avea una sorella chiamata Caterina d’Ambra, la quale ad un coraggio che trascendea in fierezza, ad un animo dispettoso e vendicativo, accoppiava un affetto straordinario verso questo fratello, ed un cuore risoluto ad ogni straordinaria e pericolosa impresa. L’affetto per la vittima irritò Caterina, per cui giurò di far pagare, alla brigata, a caro prezzo il sangue sparso del suo amato fratello. Aspettò la sera di un solenne dì festivo, sapendo, che, quella sbirraglia priva di disciplina e di educazione, non si sarebbe in tale serata ritirata in caserma, senza essersi avvinazzata da ridurre branco di animali. Venuto il giorno desiderato, Caterina approfittava dell’universale baccano della festa, perché gli stravizzi della giornata disertavano più presto le strade, in quel paese rurale, dagli ubbriachi e stanchi operai; per lo che, scorsa appena la prima metà della notte, si unì ad una sua cugina di pari indole coraggiosa, e seguito da tutto il parentado, che ascendevano a circa quarant’uomini risoluti, si portò ad assalire gli armigeri nella loro stessa caserma, posta al lido del mare, verso la spiaggia di Monticchio, propriamente accosto la porta del paese. [...] Sul tetto della casa vi esisteva il coverchio del condotto del fumo che comunicava al focolare, ch’era nella stessa stanza: Caterina lo toglie, ordina che le portino le legna, il zolfo e la polvere: si accorge che il loggiato è coverto da borre e fascine di mirti già secche, trova queste legna più accendibili, colle sue mani, aiutata dalla cugina, ne afferra una brancata; le accende e le gitta pel cammino sul focolare; su quelle versa il zolfo, la polvere, e poi altre legna quasi fresche, onde accrescano fumo da superar la fiamma. Il fumo è densissimo; è soffocante; il fuoco è scottante; i birri ubbriachi marci non possono sfuggire la fatale conseguenza! Di dodici, uno si salvò, perché meno ebbro degli altri, e si salvò mettendo la testa nel luogo più schifoso ch’ivi si trovava." (Giuseppe D'Ascia, Storia dell'isola d'Ischia, 1864)Il terzo personaggio, Tolla (Alessandra Criscuolo), probabilmente diminutivo di Vincenza, rappresenta l’archetipo della ribellione femminile all’autorità maschile, paterna e maritale che in una Forio squassata da un’epidemia di peste (attorno la metà del ‘600) assume ben presto le sembianze della follia. Tolla, infatti, comincia ad ammonticchiare cadaveri nella chiesa di San Sebastiano alle Pezze. Corpi senza vita a cui la donna sottrae preziosi e gioielli che indossa poi in una "cannaca" (un laccio appeso al collo). Da qui l’antico proverbio foriano, ormai desueto, "sei una Tolla" riferito alle donne troppo ingioiellate.