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L'isola d'Ischia agli inizi del '900

Ischia nelle parole e negli acquerelli di due colte turiste americane agli inizi del secolo scorso

L’isola d’Ischia è completamente ed eccezionalmente bella, un posto per fermarsi con delizia e andare via con rammarico
(Augustine e Sybil Fitzgerald, Ischia e Capri, Imagaenaria, 2008)

Nel 1904 due sorelle di origini americane, Augustine e Sybil Fitzgerald, pubblicano per la casa editrice londinese Adam & Charles Black, un bellissimo libro, con una tiratura iniziale di appena 250 copie, dal titolo: "Naples. Painted by Augustine Fitzgerald. Described by Sybil Fitzgerald ". Si tratta di un resoconto illustrato della bella vacanza nel Golfo di Napoli trascorsa dalle due donne nel maggio del 1904. Il penultimo capitolo del libro è dedicato al soggiorno sull’isola d’Ischia delle due colte visitatrici, di cui, tra l’altro, esistono pochissimi e scarni cenni biografici.

La novità del racconto sta, da un lato, nel doppio piano comunicativo (testo più immagini), dall’altro, nel fatto che la descrizione dei luoghi non è semplicemente enfatica, ma piena di notazioni sociologiche e di stupore per il contrasto tra la magnificenza dei luoghi e le povere condizioni di vita dei residenti.

Di Ischia affascina la ruralità, l’armonia tra il contadino e la terra. Scrive Sybil Fitzgerald:


La vita del contadino sembra una cosa abbastanza semplice in tutto il mondo; ma nel Sud possiede un fascino davvero inseparabile dal paesaggio. [...] Essi (i contadini) sono, per così dire, impregnati della luce e del calore del sole. I loro capelli sono tinti dal sole; i colli non coperti delle donne sono arsi a color ciliegia; i loro occhi sono neri come la notte. [...] a Sud nella luce continua del sole il contadino si adatta alla terra con una semplicità che fa le loro vite simili alla crescita delle piante meridionali che maturano rapidamente, compiono il loro ciclo e muoiono”. 

Diverte anche il "miracolo" delle terme:

Fa quasi dispiacere a qualcuno di non avere un malanno in un luogo dove il rimedio è così divertente come sedersi nel fango caldo e dopo discutere con un amico”.

Non vengono però taciuti i problemi di Ischia, anche se nella critica delle sorelle Fitzgerald è evidente un atteggiamento etnocentrico - la tendenza cioè a giudicare e ad interpretare le altre culture in base ai criteri della propria - comune a tanta sociologia di scuola anglosassone del ‘900 che, a proposito delle condizioni di vita dell’Italia del Sud, ha parlato negli anni di “familismo amorale” (Banfield), mancanza di senso civico o “civicness” (Putnam), omettendo quasi sempre di approfondire i rapporti produttivi e il contesto socio-economico da cui scaturivano quei comportamenti che all’osservatore esterno potevano sembrare “bizzarri”, o peggio “irrazionali”.

Solo a partire da quest’implicito complesso di superiorità si spiegano affermazioni come “le persone sono troppo ignoranti per sviluppare qualcosa di nuovo senza aiuto” riferite al mancato decollo industriale del lavoro della paglia, molto diffuso nel comune di Lacco Ameno, oppure, “gli italiani non amano niente se non i loro figli” dette a proposito del conducente che accompagnava le colte viaggiatrici tra le rovine post-terremoto di Casamicciola Terme, “responsabile” di avere indicato loro le macerie dell’abitazione sotto cui vent’anni prima aveva perso un figlio in tenera età, con l’aggiunta della nota cinica che “se fosse stata sua moglie (a morire) è probabile che avrebbe dimenticato il fatto”.

Pur con i limiti di analisi prima evidenziati, quello delle sorelle Fitzgerald resta un affresco potente degli usi e dei costumi dell’isola d’Ischia di inizio ‘900, come dimostrano le pagine dedicate alle feste popolari di Santa Restituta, San Vito Martire e la Corsa dell’Angelo, oppure quelle bellissime dedicate alla bellezza dei luoghi, con Forio che “ha caratteristiche di Turner” (William Turner, pittore inglese della fine del XVIII secolo cui la critica ha riconosciuto il ruolo di maggiore interprete nell’arte del paesaggio in pittura) e Ischiache è meno selvatica e più abitata” piena di “uomini e donne carichi di merci, ragazze con vasi sotto le braccia e sulla testa, affabili contadini che si aggregano al solitario straniero e non lo lasciano più finchè non acconsente a permetter loro di fare un ritornello della loro vita”.    

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