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L'Acquedotto dei Pilastri e la fonte di Buceto

Un'opera mastodontica erroneamente attribuita ai Romani.

"Has sudavit aquas cereris patientia curtae edocuit que famem ferre magistra sitis."
(Queste acque si sono ottenute col sacrificio sul cibo: la sete, da buona maestra, ha insegnato a sopportare la fame). Mons. Girolamo Rocca, vescovo di Ischia, 1685.

Con queste poche, sibilline parole, Mons.Girolamo Rocca, vescovo di Ischia sul finire del XVII secolo, salutava il primo rudimentale zampillare dell’acqua di Buceto nell’antico borgo di Celsa, a testimonianza degli enormi sacrifici fatti dalla Curia, e dal prelato in prima persona, per la realizzazione dell’Acquedotto, detto dei "Pilastri", che si trova al confine tra il comune di Ischia ed il comune di Barano.

Nella seconda metà del ‘500, a seguito della scomparsa della fonte autonoma di acqua potabile nei pressi di Cartaromana, era sorta l’esigenza di dotare l’antico borgo di Celsa di un sistema di approvvigionamento idrico che scongiurasse il rischio concreto della sete, ben più grave di quello, pure molto sentito, della fame.


L’allora Vicerè di Napoli, Cardinale Antoine Perrenot de Granvelle (Cardinale Antonio di Granvela) concesse immediatamente al popolo una serie di immunità e di esenzioni fiscali per la realizzazione di un acquedotto che incanalasse le acque della sorgente di Buceto (in località Fiaiano, Barano d’Ischia) fino a Ischia Ponte all’epoca, senza dubbio, la comunità civile e religiosa più importante dell’isola d’Ischia. L’incarico fu affidato al Governatore dell’isola, il cavaliere Orazio Tuttavilla che, soltanto dopo l’introduzione di una forte tassa sui cereali, a totale smentita, quindi, dell’indirizzo proveniente dal Regno, riuscì, nel 1590, nella posa della prima pietra.

L’opera, tra alterne vicende, terminò circa due secoli dopo, ma senza l’iniziativa testarda e coraggiosa di Mons. Girolamo Rocca probabilmente non sarebbe mai terminata. Questo volitivo vescovo, 80 anni dopo l’inizio dei lavori, assunse su di sé l’enorme compito di sovrintendere alla realizzazione dei due ordini degli archi e dei condotti in cui far defluire l’acqua, facendo affidamento, tra l’altro, sulla sola iniziativa privata.

Nel 1759 l’opera fu finalmente terminata. Sulla facciata dell’antico palazzo comunale di Ischia Ponte, dove batte il pubblico orologio, una lapide marmorea commemora l'avvenimento, tacendo però incredibilmente del lavoro del vescovo Rocca che, quasi avesse presagito la personale "damnatio memoriae", aveva affidato il suo pensiero all’ironica incisione cui si è fatto riferimento in apertura.

Questo il testo della lapide commemorativa sul palazzo dell’orologio:

"D. O. M. Aquam ex fonte Buceti ad IV M. P. pubblico aere derivatam labroque ex tiburtino lapide ornatam et Turri in qua concilia fierent adpositam Addito horario Decuriones Pithecusan Utendam fruendam civibus dederunt. A. MDCC LVIIII."
(A Dio Ottimo Massimo - I decurioni ischitani diedero ai cittadini, perché ne usassero e godessero l'acqua derivata a pubbliche spese dalla sorgente di Buceto al quarto miglio, ed ornata di una vasca di travertino e diretta verso sì grande torre, ove si tenevano le adunanze ed aggiuntovi l'orologio. Anno 1759.


Oggi che la sorgente di Buceto non serve più il comune di Ischia
resta traccia visiva di una monumentale e complessa opera di ingegneria idraulica che si estende per 550 mt dalla contrada dello Spalatriello fino all’inizio della salita che conduce in località Sant’Antuono.

Resta, beninteso, anche la sorgente, delle cui acque si servono ancora tanti ischitani (nei pressi di una piccola fontana pubblica fronte strada, a valle del Monte Rotaro, nella parte alta di Fiaiano), a ulteriore conferma della generosità della natura in quel luogo meraviglioso che è l’isola d’Ischia.

 

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